Giustizia climatica: una questione di equità e sostenibilità
Nel luglio 2024, l’esondazione di diversi fiumi nel subcontinente Indiano, dovuta a piogge torrenziali, ha causato una catastrofe ambientale che ha impattato sulla vita di oltre 3 milioni di persone. 2.800 villaggi sono stati letteralmente spazzati via dalla forza dell’acqua.
Se è vero che le piogge monsoniche da sempre producono danni diffusi nei paesi in quest’area geografica, c’è accordo tra gli esperti nell’affermare che, a causa del cambiamento climatico, le conseguenze di tali eventi metereologici si stiano facendo, di anno in anno, sempre più drammatiche.
Si tratta di un esempio – uno dei tanti – che mette sotto gli occhi della comunità internazionale di come l’impatto del cambiamento climatico si manifesti spesso in maniera più evidente e grave su comunità e aree già molto fragili, anche dal punto di vista economico e sociale.
Il concetto di Giustizia Climatica
Il termine “Giustizia Climatica” è emerso nei primi anni del secondo millennio come evoluzione del concetto di Giustizia Ambientale. Se quest’ultima si concentrava sull’equità nella distribuzione dei benefici e dei rischi ambientali all’interno delle comunità, la Giustizia Climatica indica un concetto più ampio, anche su scala geografica e temporale: non si limita infatti a riconoscere i diritti ambientali, ma pone l’accento sulla responsabilità e l’equità nella distribuzione degli impatti del cambiamento climatico a livello mondiale e generazionale. Il termine è diventato centrale nel dibattito pubblico e politico in seguito a eventi significativi come, ad esempio, l’uragano Katrina nel 2005.
Questo nuovo paradigma si concentra sulla necessità di affrontare le disuguaglianze che il cambiamento climatico acuisce. L’idea portante è che i paesi e le comunità che hanno contribuito meno alle emissioni di gas serra siano spesso quelli che ne subiscono le conseguenze peggiori. Non solo, lo stesso concetto viene esteso anche alle nuove generazioni – si parla in questo caso di Giustizia Intergenerazionale – che, come i paesi in via di sviluppo, erediteranno una situazione drammatica da chi ha agito prima di loro.
Una prospettiva storica
I dati parlano chiaro: esiste un’evidente sproporzione tra i contributi dei diversi paesi al cambiamento climatico. Una ricerca dell’Università di Oxford, che ha analizzato le emissioni cumulative a partire dalla Rivoluzione Industriale, evidenzia come, storicamente, gli Stati Uniti siano responsabili del 25% delle emissioni, i 27 paesi che compongono l’UE del 22%, la Cina del 12,7%, la Russia del 6% e l’India del 3%.
Considerando le emissioni attuali, il quadro complessivo si complica: la Cina oggi costituisce il principale emettitore con circa il 28%. Al secondo posto ci sono gli Stati Uniti, seguiti dall’India, dalla Russia e dal Giappone. L’UE a 27 rappresenta oggi solo l’8% delle emissioni. Anche in questa seconda classifica non c’è traccia dei paesi più vulnerabili, che hanno contribuito in forma marginale al problema sia in termini storici che per emissioni attuali. Il dato più eclatante: l’intero continente africano, è responsabile soltanto del 3% delle emissioni cumulative.
Le differenze tra i dati storici e quelli odierni costituiscono il principale nodo della discussione internazionale oggi sulla Giustizia Climatica. I paesi che oggi inquinano di più e che hanno un tasso di crescita in continuo aumento invocano infatti Il principio di “responsabilità comuni ma differenziate”: se è vero che tutti i paesi devono agire contro il cambiamento climatico, quelli più ricchi e che storicamente hanno prodotto maggiori emissioni dovrebbero fare di più. Ecco che si profila quindi un ulteriore concetto, ovvero quello di “Giustizia Distributiva”.
La redistribuzione delle risorse e la condivisione del know-how diventano la chiave per il raggiungimento di una situazione più equa; in questo senso, la cooperazione internazionale allo sviluppo emerge come lo strumento abilitante fondamentale per permettere ai più vulnerabili di crescere economicamente, senza aumentare in maniera proporzionale anche le loro emissioni di gas serra.
Giustizia climatica e diritti umani
Infine, il concetto di Giustizia Climatica non può essere svincolato dal rispetto dei Diritti Umani. Tale legame si manifesta chiaramente nello strumento riconosciuto dal diritto internazionale del “contenzioso climatico”, ovvero “quella varietà di azioni legali che sollevano questioni di diritto o di fatto concernenti il cambiamento climatico, sia nei suoi aspetti scientifici sia in relazione alle politiche di contrasto di tale fenomeno” (ISPI).
Sotto il cappello del contenzioso climatico rientra una casistica ampia: dai ricorsi contro gli Stati, affinché adottino politiche di contrasto al cambiamento climatico più stringenti, o viceversa, più permissive, alle cause intentate contro le grandi compagnie del settore dei combustibili fossili e del cemento, o ancora, le grandi multinazionali che sfruttano le risorse in maniera estensiva, per il loro contributo massiccio in termini di emissioni e consumo di suolo. Le azioni condannate possono andare dalle inadempienze, alla mancata divulgazione di rischi, alla violazione dei diritti umani.
I contenziosi avviati fino ad oggi sono 1.840, prevalentemente negli Stati Uniti. Il caso europeo più eclatante, che ha “fatto scuola” risale al 2015, anno in cui un tribunale olandese ha ordinato al governo dei Paesi Bassi di ridurre le emissioni di gas serra del 25% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2020, in risposta a una causa intentata dall’organizzazione non profit Urgenda. Un altro esempio oltreoceano particolarmente significativo proviene dall’Ecuador, dove nel 2011, la comunità indigena dei Secoya ha intentato una causa contro Chevron-Texaco per l’inquinamento causato dall’estrazione di petrolio, ottenendo un risarcimento di 9,5 miliardi di dollari.
In conclusione, la giustizia climatica rappresenta una delle sfide attuali più complesse e multidimensionali, che richiede un’azione globale coordinata e basata sull’equità. Riconoscere e affrontare le disuguaglianze nei contributi e negli impatti del cambiamento climatico è fondamentale per garantire un futuro sostenibile e giusto per tutte le generazioni di tutti i paesi del mondo.
Di Anna Filippucci