“Che storia Betty”… moda inclusiva e tanto altro
La sostenibilità per Betty Thu Trinh, stilista italo-vietnamita che ha lavorato a Londra e oggi vive a Brescia, titolare del Negozio “Bettyconcept”
Non è certo possibile rimanere indifferente al fenomeno che da qualche anno si sta verificando in Contrada del Cavalletto, a Brescia, diventato virale ed evidente anche sui social. Prendiamo a caso alcune recensioni sul web di Nicoletta, Luisa, Sara, e così via, mettiamoci in ascolto delle loro lodi a Bettyconcept, questo spazio fisico che accoglie le persone valorizzando il centro e portando le persone a volersi incontrare, oltre le distrazioni da smartphone. Qui è possibile unire la cura e la qualità della sartoria su misura alla velocità e flessibilità del digitale. Ebbene sì, Betty realizza abiti su misura, ordinabili sia online che nello store fisico: “Gli abiti che ti arrivano a casa sono meravigliosi. Non solo vestono perfettamente il tuo corpo ma si vede e sente la cura che Betty e il suo staff ci mettono nelle loro creazioni. Sono al secondo acquisto. Non credo mi fermerò qua. Va coltivato e spinto questo tipo di imprenditoria. Bravissima Betty!!!” ecco l’endorsement di Nicoletta e poi Sara che scrive “Andare da Betty è sempre un’esperienza meravigliosa. Oltre alla gentilezza e disponibilità di tutto lo staff, Betty propone non solo abbigliamento di qualità su misura (a prezzi onesti visti gli iter seguiti anche solo per la scelta del tessuto e tutto il lavoro che sta dietro il confezionamento dei capi), ma anche condivisione, accoglienza, inclusione, esperienze, incontri…”, e infine Luisa: “Lavoro da quasi vent’anni nel settore dell’abbigliamento di fascia alta, ma il vero Lusso l’ho trovato adesso. Dentro quelle mura c’è accoglienza, ascolto, inclusione.”
Leggo fra le righe un termine e concetto che prevale su tutti, al di là delle considerazioni marchettare: “inclusione”. “Bettyconcept è un brand d’abbigliamento ma anche un posto fisico dove si applica l’inclusività e la sostenibilità a 360 gradi” a confermarlo è proprio Betty Thu Trinh, rispondendo all’esigenza di capire cosa significhi “moda sostenibile” e cosa comporti essere “artigiana della sostenibilità”. Lei incalza e avanza nel discorso ancor di più: “siamo inclusivi perché noi vestiamo tutti i corpi, nessuno escluso, non esistono corpi difficili, ma solo abiti sbagliati, perché le taglie standard non possono rappresentarci tutte. La sfida vera è includere tutti senza distinzioni di forme ed età anagrafica.” Concetti chiari e semplici, con una limpidezza che le origini vietnamite accentuano in termini di concretezza e dolcezza orientale, senza con ciò distogliere dal grande disegno che sottostà alle creazioni in vendita “chi decide cosa possiamo mettere oppure no?” prosegue ancora lei “l’abbigliamento è un linguaggio non verbale molto forte e ci permette di esprimerci al mondo mostrandoci come vogliamo essere. Per me l’abito fa un po’ il monaco.”
“Quindi la sostenibilità, secondo lei, significa per la maggior parte inclusione?”, le chiediamo ancora, incuriositi. “In negozio hanno accesso persone a ridotta mobilità, abbiamo creato apposta bagni e camerini spaziosi… l’inclusione nella vita vera passa da questi accorgimenti, o no?”
Ogni parola è scandita con precisione e cura, come gli interrogativi, e a noi ne rimarrebbe uno solo, banale ma d’obbligo per chi si occupa di idrico e di sostenibilità, chiedendole per l’appunto “perché vi ritenete sostenibili, cosa significa per voi sostenibilità?” Le risposte non mancano in sveltezza:
“La sostenibilità è reale se soddisfa tutte e tre le voci: economica, sociale, ambientale. Vado a spiegarmi meglio. Ambientale perché utilizziamo solo materiale di cui sappiamo la provenienza e molte volte deadstock provenienti dalla sovrapproduzione di grandi marchi. Sociale perché le persone che lavorano da Bettyconcept hanno il giusto “balance” tra vita privata e lavorativa, potendosi gestire i tempi per conciliare al meglio tutti gli aspetti; economica perché la produzione “make to order”, la vendita in preordine aiuta ad abbassare il rischio di invenduto, abbassando i costi.”
Prêt-à-porter bandito, potremmo dire, perché qui la cura del cliente va di pari passo con la sartoria su misura ed entriamo in un campo che va oltre la moda. Facciamo chiudere lei con una nota di merito rispetto alle possibilità date dall’ e-commerce: “L’importante è mantenere l’approccio di cura del cliente che contraddistingue la sartoria su misura trasponendolo nella dimensione digitale. Se l’abito inviato presenta delle imperfezioni, perché magari le misure non sono state inserite correttamente, noi lo ritiriamo a nostre spese, correggiamo l’abito, e lo riconsegniamo.”
Ora sappiamo che non servono tante chiacchiere a Betty, e speriamo che la moda resti un laboratorio creativo e perché no, esclusivo, solo per il suo appeal sostenibile…
di Michele Scalvenzi