Prospettive del mercato dell’energia e sostenibilità
Parlare di energia vuol dire parlare di vita e sviluppo. Ma significa anche parlare di inquinamento e di complesse relazioni geopolitiche locali e mondiali. Cercare quindi di prevedere le prospettive del suo mercato, vuol dire tenere conto di tutti questi elementi.
L’energia è fondamentale per la vita quotidiana e per lo sviluppo. Permette di conservare il cibo, di scaldarci, cucinare, comunicare e viaggiare. Le imprese utilizzano l’energia per produrre i beni che consumiamo.
Il suo uso migliora la qualità della vita e permette lo sviluppo economico.
Proviamo per un attimo a chiudere gli occhi e a pensare cosa succede quando salta la corrente: buio! Nessun accesso alle rete internet. Tv spenta. Il frigorifero smette di funzionare. E poi il riscaldamento e l’acqua calda, se non, addirittura, in taluni paesi, l’acqua potabile.
È pertanto cruciale che tutti possano avere accesso all’energia. Se invece si osserva la diffusione dell’illuminiazione notturna sulla Terra attraverso un satellite (figura 1), si vede subito come alcuni stati abbiano ancora un bassissimo accesso all’energia e, di conseguenza, un basso sviluppo economico. Per crescere devono quindi aumentarne l’uso. Se si vuole pensare a uno sviluppo sostenibile privo di elevate sperequazioni, tutti i popoli dovrebbero riuscire ad accedervi in modo equo.
Nel frattempo la popolazione mondiale sta aumentando, anno dopo anno. Le stime indicano che dovremmo arrivare a oltre 9 miliardi nel 2050 (9,7 miliardi, proiezioni ONU). Se tutti ambiscono ad avere un tenore di vita a livello dei Paesi sviluppati, allora servirà sempre più energia per poterlo garantire.
Nel contempo sappiamo, purtroppo, che la produzione di energia e di beni di consumo, implica anche inquinamento, sotto varie forme: scarto di produzione, scarti dai consumi e inquinamento dell’aria, attraverso l’emissione di gas climalteranti. Questi gas, come viene spiegato dal loro stesso nome, causano, purtroppo, effetti sul clima. Sempre più marcati. La loro concentrazione implica un aumento medio della temperatura e una serie di effetti collaterali combinati, come una maggiore variabilità della piovosità, inasprendo le condizioni già critiche, quindi aumentando la desertificazione nelle zone aride, mentre aumentano frequenza e quantità di pioggia in aree già abbondantemente irrorate, creando enormi problemi. Oltre a ciò, il cambiamento climatico aumenta l’intensità e la frequenza di fenomeni estremi come uragani e inondazioni. Come se non bastasse, la diffusione della pandemia del covid-19 ci ha fatto comprendere quanto uno sviluppo non sostenibile possa essere profondamente dannoso e pericoloso. Si paventava da anni il rischio di una zoonosi di questa portata e nulla, o poco, è stato fatto per evitarla. L’economia doveva andare avanti, lungo il percorso che aveva intrapreso e che sembrava vincente.
Il punto rilevante è che tutti questi danni sono incerti sia rispetto alla loro magnitudo che al momento in cui possono verificarsi. Nel contempo non sono costi diretti della produzione. Sono effetti collaterali di un’ attività economica, definiti dagli economisti con il termine di esternalità. E, normalmente, non hanno un prezzo di mercato e sono danni sociali e globali e non (solo) del singolo che li causa. Per tal motivo, per un lunghissimo periodo, non sono stati presi in considerazione.
Negli ultimi anni si sta prendendo maggior consapevolezza di questi problemi, sia a livello istituzionale, che a livello di impresa e di consumatore. Ne sono scaturiti il Green New Deal, il mercato europeo dei permessi alle emissione di CO2, i movimenti come Friday for Future e gli obiettivi europei (e non solo) di “zero emissioni nette” (NZE, Net Zero Emission) entro una determinata data. Nel caso europeo si parla del 2050 (vedi figura 2). L’ETS (Emission Trading System) è un meccanismo che cerca di definire quel prezzo che il mercato non riesce ad attribuire alle esternalità. Il suo perfezionamento implica maggiori costi per le imprese e, sicuramente, una maggiore spinta verso le risorse rinnovabili. Il prezzo dei permessi degli ETS sta crescendo negli ultimi anni, spinto dal mercato che vede come inevitabile il processo di transizione anche attraverso questi strumenti (figura 3). Nel contempo l’ONU ha, da tempo, spinto verso il perseguimento di uno sviluppo sostenibile, incentrato su 17 obiettivi, descritti nella Agenda 2030.
Questo il contesto in cui si muove il mercato dell’energia: fra la nessità di aumentarne la produzione e l’obbigo di ridurne l’impatto ambientale. Si aggiungono due ulteriori elementi concatenati: l’esauribilità delle risorse fossili e la necessità di sostituirle con nuove risorse rinnovabili, non (o meno) inquinanti. Questo processo di sostituzione viene definito transizione energetica. Per comprendere gli scenari futuri, bisogna chiarirsi quanto questo processo sia semplice e fattibile, seppur necessario. E’ sicuramente un imperativo categorico per evitare gli effetti irreversibili del cambiamento climatico. Tuttavia non è così immediato: la sostituzione fra fonti energetiche dipende dai costi relativi, dalla disponibilità della risorsa, dalla rete di distribuzione e da vincoli tecnici che, tavolta, non sono aggirabili. E, come stiamo constatando in questi giorni, dipende anche dal contesto geopolitico. Sul lato dei costi, il costo di produzione dell’energia rinnovabile è decrescente nel tempo ma talvolta resta ancora meno conveniente delle fonti fossili, che sono ancora largamente utilizzate. La produzione energetica dalle onde e dalle maree, seppur promettente, resta al momento limitata e sviluppata solo in alcune aree geografiche.
A livello di distribuzione, non tutte le nuove fonti energetiche saranno in grado a breve di avere una rete efficiente e radicata. I costi per la costruzione degli impianti sono molto elevati e non sempre possono essere sostenuti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. E’ il caso per esempio dell’idrogeno, che deve sviluppare ancora tecnologie più efficienti di produzione. Molta speranza risiede nella fusione nucleare, in grado di produrre energia elettrica in maniera quasi pulita e utilizzando una risorsa virtualmente inesauribile, come l’acqua. Rappresenta il Sacro Graal della produzione energetica. Tuttavia al momento la tecnologia non è matura: l’energia necessaria per attivare la fusione è quasi pari a quella prodotta e il recente esperimento a fusione Joint European Torus (Jet), seppur risultato un successo, è solo un primo passo verso progetti più complessi e completi. Le previsioni indicano che si riuscirà a produrre energia da fusione, con continuità ed efficienza, solo verso il 2050.
Ci sono alcuni ulteriori elementi da considerare. L’ intermittenza di alcune fonti rinnovabili: l’energia solare ed eolica hanno diversi tipi di intermittenza. Il fotovoltaico produce in maniera quasi costante solo in determinate fasce orarie, mentre l’eolico ha dei picchi di produzione molto incerti. Al momento non sono fonti in grado di coprire in maniera costante il fabbisogno energetico. La loro produzione necessita dunque di una risorsa fossile più affidabile di complemento, per coprire i picchi di domanda e il consumo notturno. Queste risorse potranno diventare più compettitive quando ci saranno batterie efficienti. Siamo sulla strada giusta ma, al momento, bisogna camminare ancora un po’.
Un ulteriore elemento è diventato rilevante nella ripresa dopo il COVID-19 e si è ulteriormente manifestato in questi giorni: in termini di capacità le fonti energetiche alternative non sono ancora in grado di sostituire le fonti fossili. Le risorse rinnovabili coprono ancora una piccola parte dell’energia totale anche perché, come abbiamo spiegato nell’introduzione, la domanda di energia continua ad aumentare, soprattutto nei Paesi in via di Sviluppo. E la crescita economica dei paesi più poveri è guidata, nelle prime fasi, da fonti fossili. Nel loro caso la prima necessità è aumentare il PIL pro capite e solo in seconda battuta quella di tutelare l’ambiente. Per questo sono fondamentali il supporto e il sostegno economico dei Paesi sviluppati che, tuttavia, non sempre riescono a coordinarsi in modo proficuo. In questo contesto, l’Europa sembra essere all’avanguardia, anche se, tuttavia, si trova comunque non autosufficiente dal punto di vista energetico. Sebbene sia evidente che le centrali a carbone debbano essere spente, il gas sembra essere cruciale per la transizione che deve essere necessariamente graduale, in modo da permettere alle fonti alternative di sostituire la capacità energetica richiesta dal sistema economico. Una eccessiva accelerazione può portare a un collo di bottiglia sul lato dell’ offerta di energia, implicando forti impennate dei prezzi dell’energia e rallentamenti nell’economia. Come, di fatto, sta accadendo in questi ultimi mesi.
Alla luce di tutte queste osservazioni, si ritiene che, nonostante la crisi geopolitica di questi giorni, la strada verso la transizione energetica e la decarbonizzazione per il 2050 sia stata definita e debba essere perseguita. Istituzioni, mercati e consumatori, siamo tutti consapevoli che si dovrà procedere in questa direzione: chiudendo le centrali a carbone, riducendo gradualmente il gas per permettere alle risorse rinnovabili di installare e sostituire la capacità necessaria. Tutto dipende anche dalle tecnologie legate alle batterie elettriche, all’idrogeno e alla fusione nucleare (per citare le più note). Le analisi della International Energy Agency (IEA), prevedono per il 2050 a livello globale (figura 4 e figura 5) un forte incremento dell’eolico e del solare, un lieve aumento dell’idroelettrico e del nucleare e un rallentamento delle risorse fossili. Fra i settori, la produzione di elettricità sembra essere favorita per ridurre il proprio impatto sulle emissioni di CO2 (figura 6), seguita dal settore industriale. Il settore dei trasporti sembra quello più in difficolta nella trasizione, avendo vincoli strutturali più stringenti. Le previsioni IEA evidenziano un ribilanciamento delle risorse energetiche e mostrano scenari caratterizzati da forti riduzioni di gas climalteranti fino a perseguire emissioni nulle. Nonostante le difficoltà e l’incertezza del caso, riteniamo che la strada sia ben delineata e che l’obiettivo possa essere perseguibile, pur sapendo che il cammino non sarà in discesa ma impervio.
Sergio Vergalli
Past president, Associazione Italiana Economisti dell’Ambiente e delle Risorse Naturali e Programme Director, Programma di Ricerca “Modelling the Energy Transition”, Fondazione Eni Enrico Mattei.
Articolo pubblicato sul numero 5 di Riflessi, aprile 2022