Il lago nel cuore
“La grande sete sta cambiando il paesaggio. Le abitudini. Il lago di Garda ha un’identità che va difesa”
Intervista a Camilla Baresani
«Sono una bresciana di città con appendice lacustre». Parola di Camilla Baresani, classe 1961, scrittrice di successo, firma di giornali importanti (dal Corriere della Sera a Domani, dal Foglio a Grazia, dopo aver scritto per Sette, Vanity Fair, Il Sole-24 ore, Panorama…), presidente del Centro Teatrale Bresciano. E gardesana che rivendica con un certo orgoglio le sue origini: «Mia madre era di Gargnano, mio padre di Desenzano. Ho sempre avuto un piede da queste parti». Ci ha pure lavorato, nel piccolo resort di famiglia, prima che la scrittura diventasse un mestiere e che all’esordio de Il plagio (Mondadori), nel 2000, si affiancassero altri romanzi (Sbadatamente ho fatto l’amore, L’imperfezione dell’amore, Il sale dell’Himalaya) e saggi, spesso di argomento eno-gastronomico, altro filone che segue con continuità.
Anche per questo è la persona giusta per parlare del lago e di qualcosa che, in questi anni sempre più segnati da siccità marcata e temperature impazzite, rischiamo di perdere. Perché la grande sete non sta portando solo guai all’agricoltura e alla produzione di energia idroelettrica: sta cambiando il paesaggio. Le abitudini. In qualche modo, una cultura «che per me è quasi più identitaria di Brescia», spiega la Baresani: «La città è bellissima, ma il lago di Garda ha qualcosa di speciale. Ha un’identità che va difesa».
Perché?
Anzitutto, è poco conosciuta. Se ci pensa, c’è una grande enfasi narrativa sul Lago di Como: gli stilisti, le star americane, Cernobbio… Quei posti hanno mille motivi per stare sui giornali. Il Garda, no. È come se non avesse una grande reputazione, tranne che per i velisti e i turisti del Nord. E invece, secondo me, conserva una bellezza imbattibile.
Me la descrive?
C’è una varietà di paesaggio strepitosa: rocce, colline e piano, oltre all’acqua. Una settimana fa avevamo la neve a destra e sinistra, tra Baldo e Adamello. Non è mica il mare: qui ovunque ti giri vedi qualcosa di diverso, non solo spiagge e acqua.
Chi non ama il lago, spesso usa l’aggettivo «triste»…
È un luogo comune. Guardi, se ci va in questi giorni vede un’esplosione floreale che è la cosa meno triste che ci sia sulla faccia della terra. E trova vita ovunque: stormi di folaghe, l’airone sul sasso. E la canoa, il windsurf, il gommone… C’è sempre qualcosa che passa a increspare l’acqua. Poi vedi Sirmione, il castello, le luci sul monte. Altro che triste: potrei starci per ore. In più, è un ambiente internazionale: è la fine del Brennero, raccoglie gente che arriva da ovunque.
Ecco, i turisti. Lei ci ha avuto a che fare anche per lavoro…
Mio padre aveva ereditato dei terreni a Desenzano, e aveva deciso di farci un villaggio turistico. È stato un precursore: erano i primi anni Sessanta quando andò negli Stati Uniti per vedere come erano fatte le strutture all’aria aperta, nel verde. Quando tornò, mise in piedi questo villaggio che era decisamente in anticipo sui tempi. Allora c’era o il campeggio con la tenda, o la pensione. Non si pensava a strutture così. Ci ho lavorato più o meno vent’anni, davo una mano nella gestione.
Perché è venuta via?
Non era il mio mestiere: preferivo i libri. E poi, di fatto ero arrivata a quarant’anni senza avere visto tanti altri posti. Le vacanze le facevo d’inverno, e d’inverno non vai in Sardegna o in Riviera…
Però il Garda nei suoi libri ci è rimasto. Bettina, la protagonista di Gelosia – il suo romanzo più recente (La Nave di Teseo, 2019) –, gestisce un villaggio sul lago…
Vero. Bettina è legata a quel posto e a quel lavoro, fa parte della sua natura. La gente di qui ha un carattere particolare: sono un po’ ispidi, magari, ma grandi lavoratori. Io sono una che gira: ho vissuto a Milano, sto a Roma… Ma il lago nei miei libri è presente spesso, perché credo che vada raccontato.
Come ha visto cambiarlo, negli anni?
Per certi versi, ha cambiato pelle. Prenda Desenzano: non aveva una vocazione turistica. C’era l’industria, c’erano altre attività, ma il turismo no. Per quello dovevi andare a Sirmione oppure, in passato, a Salò e a Gardone. Quella che adesso è la “spiaggia Feltrinelli” era un attracco commerciale. Ora è tutto diverso: c’è la ciclabile, la passeggiata a lago. L’area pedonale, zeppa di negozi di pizzette e gelati, mentre quelli normali sono spariti: se vuoi qualcosa che non sia commercial-turistico devi andare nella parte alta del paese.
Ma adesso sta cambiando anche il paesaggio naturale, appunto: l’acqua scende, a dicembre all’Isola dei Conigli si arrivava stabilmente a piedi.
Sì, ed è un mezzo disastro. Il Garda, per fortuna, ha un bacino immenso. Ma il lago basso ha impatto su tante cose, non solo sulle spiagge. Stanno proprio saltando certi equilibri. Pensi ai parassiti, per dire…
In che senso, scusi?
In questa zona ce ne sono due che stanno diventando famosi: la trichobilharzia e la furcocercaria. Sono parassiti degli uccelli. Ma con la fine della caccia, i canneti che non vengono più tagliati e l’acqua bassa che ristagna e si riscalda, certe zone si stanno riempendo di anatre e folaghe. E i loro parassiti saltano pure sulla pelle della gente. La chiamano “la dermatite del bagnante”: pruriti e arrossamenti fastidiosissimi. Ma la causa è lì, l’ambiente che cambia. Ed è solo un esempio.
Altri?
I fenomeni atmosferici, sempre più violenti anche da noi. A Desenzano siamo alla base del lago, le onde ci sono sempre state; ma adesso spaccano e scavano in maniera impressionante. Il cambiamento è innegabile, e purtroppo temo che lo lasceremo in dono alle generazioni future. Se poi ci aggiunge i danni fatti direttamente dall’uomo, come la cementificazione che da queste parti ha sfregiato tante zone o il traffico, perché le strade non sono adeguate… Anni fa Renzo Piano aveva detto una cosa importante: «Basta costruire, bisogna rammendare». Ma è rimasto inascoltato: in Italia tutti hanno costruito e nessuno poi butta giù niente. E anche questo finisce per moltiplicare gli effetti devastanti sull’ambiente.
Quali sono i punti del Lago che ama di più?
Per fortuna, sono ancora tanti. La Punta del Vo’, anzitutto. E il Golfo, in generale. Adoro Punta San Vigilio e il porto di Bogliaco. E poi mi piace molto il Mincio: camminare o girare in bici lungo il fiume per me è fantastico. Il Mincio, e poi il Po, hanno argini bellissimi, pieni di paesini interessanti. È un patrimonio da tutelare.
È un patrimonio fatto pure di agricoltura e tesori della gastronomia, a rischio pure quelli. Lei si occupa molto di vino e ristoranti. Anche qui, cosa ci stiamo giocando?
Per quello che vedo io, l’agricoltura sta reagendo bene ai problemi: sta cambiando molto, e in positivo. Trovo in giro sempre più coltivazioni idroponiche o altre innovazioni tecnologiche che permettono di risparmiare acqua. In California, dove la siccità è arrivata da anni ed è devastante, si raccoglie ogni goccia di acqua piovana: tutte le vigne hanno le loro vasche di raccolta. Noi non lo facciamo ancora, ma almeno stiamo iniziando. Insomma, progressi ce ne sono. Però è chiaro che un clima così cambiato, tra sfuriate di grandine e picchi di asciutto micidiali, ai campi non fa bene. Giorni fa ho visto foto di filari con dei fuochi accesi tra le vigne, perché era troppo freddo e rischiavano di gelare. Ad aprile. Era la zona di Bordeaux, per carità, ma non è che in Italia siamo messi meglio. Conosco gente che sta comprando terreni in Svezia e Norvegia, pensando di fare vino in futuro.
Ma davanti a questo scenario noi, gente comune, cosa possono fare?
Secondo me, tanto. Chiaro, sono problemi che nessuno risolve da solo: per quanto cerchi di essere virtuosa, di separare la spazzatura e non sprecare acqua, ci sono talmente tante zone di mondo dove lo spreco è totale, che la strada resta lunga. Però possiamo fare la nostra parte. E diffondere parole e azioni di gentilezza per il Pianeta. Che ne ha bisogno.
Di Davide Perillo