Il Pianeta non si salva senza le donne
Quando abbiamo deciso di dedicare un intero numero di Riflessi al tema della parità di genere, Giulia Cecchettin era ancora viva, si preparava a laurearsi, immaginava di avere un futuro.
Ora che scrivo queste righe, il numero delle donne uccise in quanto donne in Italia nel 2023 è arrivato a 106. Ci sono buone probabilità statistiche che, mentre i grafici faranno il loro lavoro e chiuderemo la rivista prima di consegnarla ai lettori, il numero sarà aumentato. Una donna uccisa da partner, ex o amici ogni tre giorni: questo è il motivo per cui questo numero è dedicato alle donne, al loro ruolo nel mondo del lavoro e soprattutto nella società. Perché 106 non sono tante o poche, sono semplicemente troppe.
Cosa c’entra questo tema con una rivista che si occupa di acqua e sostenibilità? Se qualcuno si è fatto questa domanda, si è già dato la risposta. Può esserci un mondo davvero sostenibile finché ci saranno disuguaglianze, violenze, discriminazioni verso delle persone solo perché appartengono a un genere, a un’etnia, a un credo religioso, a una generazione? No, non può esserci.
Intendiamoci, non ci illudiamo di poter vivere nel migliore dei mondi possibili, di sradicare il male, nelle sue varie forme. Basta che osserviamo noi stessi nel corso della giornata e delle relazioni quotidiane con un po’ di sano realismo. Siamo esseri razionali, ma anche istintivi, rabbiosi, portati a credere che la ragione sia comunque dalla nostra parte e al fianco degli altri stia sempre il torto. Siamo un miscuglio di bene e male, impastati di fragilità ci arrabattiamo tra il voler fare del nostro meglio e constatare il peggio, nostro e soprattutto altrui.
L’Agenda 2030 non è frutto dei deliri integralisti di qualche perditempo con le trecce, come qualcuno vorrebbe sostenere, ma è stata sottoscritta dai governi di 193 Paesi e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, l’organizzazione che il mondo si è dato all’indomani della seconda Guerra Mondiale. Strumento imperfetto, ma non ne abbiamo ancora trovato uno migliore. I 17 goals da mettere a segno per lo sviluppo sostenibile (SDGs) non parlano solo di ambiente, ma promuovono l’uguaglianza di genere, la lotta alla povertà, il diritto all’istruzione. Tutti temi che toccano da vicino le donne e non dimentichiamo che se l’Italia da questo punto di vista non ride, gran parte dei Paesi in via di sviluppo vivono realtà degne della preistoria, con pesanti limitazioni alla libertà individuale, mutilazioni, matrimoni forzati e spose bambine.
In Italia molti passi avanti sono stati fatti nel campo dell’educazione e del lavoro per le donne. Giulia Cecchettin aveva studiato ed era pronta a discutere la tesi in una di quelle facoltà STEM, scientifiche, che le ragazze scelgono ancora con minore frequenza. Si aspettava di lavorare in un’azienda attenta alla parità di genere, magari certificata in tal senso (per fortuna ce ne sono sempre di più, anche la nostra come leggerete). Ma resterà un sogno. Perché per studiare e lavorare devi essere viva, e Giulia non c’è più.
Dopo di lei la cronaca ha registrato altri due femminicidi, che non hanno bucato lo schermo o mobilitato le piazze come quello di Giulia. Sarà che il delitto è maturato in una generazione che credevamo più matura della nostra. Sarà che Giulia aveva il viso delle nostre figlie e una vita apparentemente senza ombre (invece il lupo c’era, anche se abbracciava un peluche), non viveva ai margini di una periferia degradata e non era cresciuta in quella tradizione culturale che giustifica la violenza sulla propria compagna (sì, abbiamo dovuto assistere anche a certe sentenze, e proprio in un tribunale di Brescia, non a Kabul o a Teheran).
Qualcuno ha scritto che usare il cognome di Giulia sui giornali e in tv è un segnale positivo, visto che di solito le donne vengono citate solo con il nome di battesimo, anche se sono astronaute, chirurghe, scienziate. Personalmente temo che sia stata chiamata con nome e cognome solo per distinguerla da un’altra Giulia non ancora dimenticata, uccisa dal padre di suo figlio a poche settimane dal parto.
Un numero di una rivista è il minimo che possiamo fare per ribadire a gran voce che tutte le persone hanno gli stessi diritti, lo stesso desiderio di essere felici da perseguire come meglio credono. Parliamone, riflettiamoci, prestiamo attenzione ai microsegnali di violenza, alle battute sessiste, alle domande su come era vestita, alle spiegazioni non richieste di materie in cui ci destreggiamo perfettamente se siamo donne, giovani e subordinate. Smettiamola e forse la smetteranno anche quella parte dell’informazione, dei social, delle chiacchere da bar che confondono vittime e carnefici.
Ci dicono che una donna ha dato il suo contributo alla società se fa due figli, dimenticando che Rita Levi Montalcini e Madre Teresa hanno reso il mondo un posto migliore senza aver partorito. Che restando a casa ci eviteremmo un sacco di pericoli, che bere fa male ma alle donne di più e non solo al fegato, fa niente se l’unico drink te l’hanno drogato. Ci dicono che se il tuo compagno, il tuo collega o il tuo capo ti lanciano un oggetto in uno scatto d’ira è perché non sei stata abbastanza performante. Non ci credono, quando denunciamo, ma se non denunciamo un po’ ce la siamo cercata. Ci dicono che “tanto io non sono un maschio così”, che è il minimo sindacale.
Ci dicono che diamo i numeri, ma qui l’unico numero che vogliamo dare è il 1522, attivo 24 ore su 24, totalmente anonimo e gratuito, da chiamare se sei testimone o vittima di violenza, o anche se te lo stai semplicemente chiedendo. Purtroppo, è ancora difficile riconoscere che l’abuso ha molte forme e persino di essere una vittima.
Facciamo che la nostra indignazione duri più della programmazione nelle sale del film di Paola Cortellesi (grandissima, molti i ruoli precedenti in cui ha interpretato donne in cerca d’emancipazione o semplicemente diverse dalla narrazione comune). Facciamo che i femminicidi restino una notizia anche quando la vittima non avrà il sorriso o l’età di Giulia, anche se non avrà una sorella capace di darle voce. Facciamo che ogni giorno, dovunque, saremo voce, rifugio e difesa dei più deboli, non importa il sesso, l’età, il colore che avranno.
Di Vanna Toninelli