Popoli indigeni, custodi dell’Amazzonia contro la deforestazione
Il cambiamento climatico ha effetti diversi a seconda delle regioni e colpisce in particolare le popolazioni più vulnerabili, come quelle che abitano la foresta amazzonica brasiliana. In questa zona, la deforestazione crea seri problemi per le comunità indigene, ma il loro coinvolgimento nelle politiche di conservazione delle risorse naturali ha portato a una significativa riduzione dei tassi di disboscamento.
Il cambiamento climatico non colpisce tutti allo stesso modo. Tale fenomeno ha, infatti, impatti diversi nelle varie aree geografiche del pianeta e questo genera forti disuguaglianze tra le popolazioni. Mentre le nazioni più sviluppate contribuiscono in misura maggiore all’emissione di gas serra, spesso sono i paesi più poveri e vulnerabili a subire le conseguenze più gravi dell’inquinamento atmosferico. Tale fenomeno è particolarmente evidente, ad esempio, nella foresta amazzonica brasiliana, dove a pagare i costi della deforestazione sono in primis le popolazioni indigene.
L’Amazzonia è la più grande foresta pluviale del mondo e copre 6,7 milioni di chilometri quadrati, con la maggior parte di essa situata in Brasile. È anche definita il “polmone del pianeta” perché assorbe enormi quantità di anidride carbonica (CO₂) e produce il 20% dell’ossigeno atmosferico globale. Grazie alla sua estensione e biodiversità, l’Amazzonia è una risorsa essenziale per la regolazione del clima globale. Tuttavia, negli ultimi decenni, quest’area ha subito una devastante accelerazione della deforestazione. Tale fenomeno, secondo l’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale del Brasile (INPE), ha raggiunto livelli critici: tra il 2021 e il 2022 sono stati distrutti circa 11.000 chilometri quadrati di foresta, pari a una media di 4.220 campi da calcio al giorno. Questa perdita non solo riduce la capacità dell’Amazzonia di assorbire la CO₂, ma porta anche al rilascio di enormi quantità di carbonio immagazzinato nel suolo e nella vegetazione.
Le attività di disboscamento sono principalmente dovute all’espansione delle piantagioni di soia, all’allevamento intensivo di bestiame e all’estrazione mineraria e di legname. Gran parte della soia prodotta in queste aree viene esportata verso altri continenti per alimentare la produzione di carne e latticini, specialmente in Nord America, Europa e Cina. La deforestazione altera il ciclo dell’acqua della regione, provocando lunghi periodi di siccità alternati a forti precipitazioni. Queste ultime, pur avendo risvolti positivi per quanto riguarda lo spegnimento degli incendi, possono però causare gravi inondazioni a causa della modificata capacità di assorbimento del suolo dopo i periodi di siccità.
Il Serviço Geológico do Brasil riferisce che, a fine 2023, il livello del Rio Negro era sceso di otto metri mentre quello del Rio delle Amazzoni era sceso di sei metri sotto la media stagionale. Questa situazione ha avuto un impatto diretto sulle popolazioni locali, poiché il fiume rappresenta la principale via di commercio e trasporto per le comunità dei villaggi più isolati, raggiungibili solo via acqua. La deforestazione intensifica gli effetti della siccità già in atto, provocando variazioni di temperatura tra le aree disboscate e quelle ancora boschive di 6-8 gradi nella stessa regione. L’aumento del calore nelle aree prive di vegetazione rende questi territori ancora più aridi durante la stagione secca. Di conseguenza, la siccità danneggia la foresta, e la deforestazione, a sua volta, amplifica ulteriormente il problema della scarsità d’acqua.
Le popolazioni indigene e le comunità locali, che vivono della foresta e della sua biodiversità, soffrono una perdita diretta delle risorse e della stabilità ecologica su cui si basano le loro vite. Inoltre, il processo di deforestazione e la conseguente perdita di suolo fertile e risorse naturali minacciano la sicurezza alimentare e idrica di queste comunità.
Collaborazione internazionale e ruolo delle popolazioni indigene
La soluzione alla crisi ambientale dell’Amazzonia richiede un’azione coordinata a livello internazionale e il coinvolgimento attivo delle popolazioni indigene, custodi storici della foresta. Negli ultimi anni, alcuni paesi e organizzazioni internazionali hanno promosso iniziative e accordi mirati alla salvaguardia della foresta amazzonica. Un esempio è il Fondo Amazzonia, creato nel 2008 dal governo brasiliano, che mira a finanziare progetti di conservazione e sviluppo sostenibile nella regione. Sostenuto principalmente da donazioni di Paesi e di organizzazioni internazionali, il fondo riceve contributi solo se il Brasile dimostra progressi concreti nella riduzione della deforestazione. Dopo un periodo di sospensione durante il governo di Jair Bolsonaro, causato dalla mancanza di trasparenza nell’utilizzo dei fondi, il sostegno internazionale è ripreso con l’elezione di Lula da Silva. Nel 2023, il Fondo ha ricevuto 762 milioni di real (135 milioni di euro) per finanziare iniziative contro il cambiamento climatico e la deforestazione in Brasile.
Gli sforzi di conservazione attuati dal governo brasiliano attraverso l’adozione di misure di pianificazione territoriale, vengono confermati dall’ultima stagione di monitoraggio della deforestazione. L’Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale del Brasile (Inpe) ha registrato una riduzione del 30,6% nella deforestazione della foresta amazzonica durante la stagione tra agosto 2023 e luglio 2024, con 6.288 chilometri quadrati di vegetazione nativa distrutti. Questo rappresenta il miglior risultato dal 2017.
Aspetto fondamentale per il successo di queste iniziative è il coinvolgimento diretto delle popolazioni indigene, che possiedono una conoscenza millenaria della foresta e dei suoi delicati equilibri. Gli accordi con le comunità indigene rappresentano uno dei modi più efficaci per proteggere la foresta, poiché riconoscono il loro ruolo di guardiani dell’ecosistema e promuovono un uso sostenibile delle risorse naturali. A esempio, la creazione delle Riserve di Sviluppo Sostenibile (RDS), come la Riserva di Mamirauá, si è dimostrata particolarmente efficace. Tali riserve sono aree protette gestite dalle comunità locali, che sfruttano le risorse naturali in modo sostenibile tramite pesca, raccolta di prodotti e ecoturismo. Questo modello ha ridotto il disboscamento illegale e migliorato le condizioni di vita degli abitanti, dimostrando che protezione ambientale e sviluppo economico delle comunità possono coesistere.
Di Giulia Abbondanza